Tre settembre 1982, ore 19. Il crepuscolo colora Palermo. Emanuela SETTI CARRARO, giovane e bella, esce da casa con la bianca A112 per raggiungere in prefettura, Villa Withaker, il marito col quale è da poco sposata. Con tenerezza, l’austero Generale dei Carabinieri Carlo Alberto DALLA CHIESA, ancora al lavoro, accoglie la donna che gli ha riempito il cuore, legato da anni al dolore della scomparsa di Dora, la prima moglie. Emanuela ha voluto seguirlo a Palermo dove il Governo gli ha chiesto di andare come Prefetto, a combattere la mafia che divora il Paese. “Servitore dello Stato” ha accettato, a condizione che gli diano poteri e mezzi. Si è insediato il I° maggio 1982; il giorno dopo l’uccisione di Pio LA TORRE. Gli impegni politici però sono rimasti parole, solo parole! Lo ha detto al Governo, ai giornali. Ha dato tempo sino a settembre; poi si vedrà. Sente attorno l’intreccio malato imprenditori-istituzioni inquinate-politici locali-regionali-parlamentari-governanti di rango. Ma il Generale piemontese con gli “alamari nel sangue” non desiste, incontra gente, va nelle scuole, parla ai giovani! Sono già le 21! Allontana i pensieri. L’ultima firma, saluta il Capo di Gabinetto. Prende sottobraccio la moglie, scende con lei. Emanuela si mette alla guida della A112, lui accanto. Domenico RUSSO, l’attento poliziotto campano di scorta con l’alfetta, avrà forse scosso la testa, forse detto qualcosa. Il Generale ha deciso: andranno al ristorante, a Mondello, dove spira la brezza e il mare si tinge d’argento. Lui li tallonerà. La luna è alta nel cielo. Partono. Gli sciacalli sono in agguato, da tempo. “L’operazione Dalla Chiesa- ha annunciato una telefonata anonima- è alla fine”. In Via Carini, una bmw scura affianca la piccola A112. Crepitio di kalashnikov! Il Generale protegge la sposa che gli muore accanto; poi, colpito reclina la testa. Solo Dio conosce quell’ultimo abbraccio di amore e morte. L’agente Russo accenna una reazione: un killer in moto gli spara. L’alfetta si blocca, inizia a bruciare. Il poliziotto agonizza, pensando ai due figli bambini, alla moglie. “Operazione conclusa”, qualcuno annuncia al mandante, nell’ovattato palazzo. Sirene di polizia, carabinieri, ambulanze ululano alla luna, rossa d’orrore. Arrivano magistrati, investigatori, autorità con grigie facce contrite. L’indomani, in Chiesa, i figli porranno sulla bara del papà Carlo Alberto la sciarpa, la sciabola e il berretto di Generale dell’Arma. Vano risuona l’anatema del cardinale Pappalardo: “dum Romae consulitur Saguntum expugnatur!”. Cristo in croce e sepolcri imbiancati. A Palermo lo scacciapensieri continua la lugubre nenia di corruzione e sangue, senza fine. Vostro Ennio